domenica 11 marzo 2012

THE NODDING SYNDROME

10 marzo 2012
Un disturbo sconosciuto sta mietendo migliaia di giovani vittime nel paese africano
Una malattia mortale e crudele sta uccidendo centinaia, se non migliaia di poveri bambini che vivono tra l’Uganda settentrionale e il Sudan meridionale. In inglese si chiama Nodding Syndrome, la sindrome viso che ondeggia. Il movimento tipico che fa chi acconsente col capo può diventare, se ripetuto molte volte in poco tempo, un segnale molto pericoloso. Può voler dire che un bambino rischia la morte per una malattia terribile.
MALATTIA MISTERIOSA - La minaccia della Nodding Syndrome è denunciata in un articolo del sito della BBC. L’autore dell’articolo, Andrew Harding, evidenzia il suo stupore nell’apprendere che a dieci anni dalla prima volta che ha incrociato questa malattia mortale nessuno è ancora in grado di capire nulla, nè di come la patologia si è originata, nè di come si può curare o prevenire. La malattia del capo penzolone colpisce solo i bambini, in modo praticamente esclusivo, e li rende vittima di spasmi incontrollabili che possono provocare anche la morte. Molte migliaia di bambini africani residenti tra il Sudan e l’Uganda potrebbero esserne affetti. Scott Dowlell, un dottore statunitense che ha studiato l’influenza aviaria, sta ora aiutando le autorità dell’Uganda per combattere questa malattia. “E’ davvero frustrante non conoscerne nemmeno la causa. Speravo di riuscire a trovarla quando ho iniziato a studiare la Nodding Syndrome nel 2009, qui al Centers for Disease Control and Prevention (CDC) ad Atlanta. Ma come altre disfunzioni neurologiche, questa malattia rimane un completo mistero. “Ci potrebbe volere ancora tanto per capirci qualcosa”, ammetta il dottor Dowlell.
MIGLIAIA DI VITTIME? - All’inizio i dottori che si sono confrontati con questo disturbo pensavano che la sindrome avesse una causa psicologica, non fisica. Le osservazioni dei cervelli colpiti però hanno evidenziato un’atrofia cerebrale piuttosto estesa. Fino ad ora i progressi nel contrastare questa malattia sono stati pochi anche perchè le sue vittime sono solo bambini africani, non americani od europei. L’Organizzazione mondiale della Salute, così come Unicef o il ministero dell’Uganda si stanno impegnando nel nord del paese per meglio contrastare questo disturbo, ma la paura è che la malattia stia colpendo sempre più giovani vittime. La presenza di così tante morti legata alla Nodding Syndrome ha reso il suo contrasto una priorità per la ricerca del CDC di Atlanta, come conferma il dottor Dowlell. Fino ad ora le morti accertate sono 194, ma le vittime potrebbero essere molto più numerose, nell’ordine delle migliaia. A differenza dell’aviaria la sindrome del capo penzolone non si trasmette, così non è facile capire quanto questo virus sia esteso. Il dottor Dowlell esprime fiducia per la ricerca sulle cause di questa malattia, mentre è più pessimista sulla sorte dei bambini colpiti e non morti. ” Al di là di chi perderà la vita, purtroppo parliamo di bambini disabili che dovranno vivere in comunità molto povere”.

giovedì 15 dicembre 2011

“Killer armato dal razzismo quotidiano”



Aly Baba Faye sociologo
di origine senegalese:
Martedì 13
Dicembre 2011 .

"La strage di Firenze è la punta di un iceberg, il problema non è solo il gesto di un folle. Gli immigrati in Italia sono diventati capri espiatorio, mostri da colpire.
Si rischia una protesta violenta, le istituzioni stiano vicine alla comunità"

Roma - 13 dicembre 2011 - "Lo sfondo razzista di quello che è successo è evidente. L’assassino si è andato a scegliere le sue vittime al mercato, sapendo di trovarle al lavoro. Ha aperto il fuoco contro un bersaglio semplicissimo, gli ambulanti con la pelle nera".
Aly Baba Faye, sociologo e leader storico della comunità senegalese, si dice "sconvolto" per la strage di Firenze, ma analizza con lucidità il contesto in cui è maturata: "Negli ultimi anni in Italia si è seminato molto razzismo, la diversità è diventata un male, l’immigrato la vittima da sacrificare. C’è stato un crescendo che ha legittimato il razzismo, con la politica che insisteva sulla sicurezza e sulle espulsioni, trasformando gli immigrati in una minaccia".

Vede un filo conduttore tra i casi di Torino e Firenze?
"Certo. La sedicenne che sente sempre parlare male degli zingari, quando si deve inventare uno stupro dà la colpa ai rom e altri vanno a bruciare il loro accampamento. Un folle di estrema destra che spara sugli immigrati è la mano armata di un pensiero seminato da anni. Siamo davanti alla punta di un iceberg, il problema non è solo la punta, ma tutto l’iceberg".

La crisi economica aggrava questa situazione?
"La crisi economica è terribile e si rischia di scivolare in un clima pesantissimo. La gente non ne può più, è preoccupata e trova negli immigrati un comodo capro espiatorio. Diventi colpevole per il solo fatto di essere rom, extracomunitario, nero. È un continuo fiorire di insulti e ci vuole poco per passare dalla violenza verbale a quella fisica. Sempre più spesso si premette la frase “io non sono razzista, ma ” a discorsi davvero atroci contro gli immigrati".

E gli immigrati denunciano?
"Macchè, ormai sono quasi assuefatti a questo clima diffuso. È una sconfitta per chi lavora da anni nell’antirazzismo. Qualche giorno fa ero su un autobus a Brescia e un gruppo di ragazzini ha snocciolato davanti a me una ricca serie di luoghi comuni contro musulmani e neri. Lo hanno fatto sfoggiando un arsenale di linguaggio che dimostra quanto le nuove generazioni abbiano assorbito il profilo del ‘mostro’ che ci è stato cucito addosso".

Come crede che reagirà la comunità senegalese a quello che è successo oggi?
"Oggi ho sentito molti ragazzi di Firenze e c’era tantissima rabbia. Non si può pensare che gli immigrati subiscano sempre in silenzio, pensiamo a quello che è successo a Rosarno. Servono messaggi distensivi, perché non si scivoli in una protesta violenta. Le istituzioni dovrebbero stare particolarmente vicine alla comunità in questo momento".

Elvio Pasca




Lo sfogo della comunità senegalese




Di Franco Bomprezzi Firenze. In Italia si fa finta di non vedere
15 dicembre 2011
Parla Cheikh Tidiane Gaye
bancario/poeta senegalese
che vive a Milano


Cheikh Tidiane Gaye, 40 anni, elegante, affabile, colto, cosmopolita. Viene dal Senegal, vive a Milano, lavora in banca, ma la sua passione è la poesia, la scrittura, da sempre. E l’impegno culturale e sociale sul tema dell’integrazione, dei destini di chi arriva dall’Africa e pensa di vivere in un Paese civile, ospitale, ricco di opportunità.
Ci siamo conosciuti durante la campagna elettorale per il consiglio comunale di Milano.
Eravamo entrambi candidati nella lista “Milano Civica per Pisapia”. Entrambi non siamo stati eletti, ma il fluido della simpatia e della condivisione non si è interrotto. Cheikh era a Firenze pochi giorni fa, per partecipare alla presentazione dell’ultimo numero della rivista “Africa e Mediterraneo”, semestrale dedicato alla cultura dei paesi africani.
Era al Caffè Letterario “Le murate”.
Una coincidenza sorprendente, dopo quanto è accaduto a Firenze.
Ieri sera, martedì, ha partecipato al presidio milanese davanti alla Prefettura, assieme alla comunità senegalese.
Cheikh, quali pensieri ti hanno attraversato, quando hai appreso le prime notizie della strage di Firenze?
Triste e senza parole. Sappiamo che il razzismo è presente purtroppo nella vita quotidiana del paese, a tutti i piani ma non al livello di sacrificare la vita di persone innocenti, poveri cristi alla ricerca del pane quotidiano.
L'atto è esagerato, davvero.
Tu vivi a Milano con un eccellente livello di integrazione sociale e umana.
Come è stato possibile?
Non credere.
A volte si fa finta di non sentire e di non vedere. Ricordo che il mio amico Papa Khouma è stato pestato dai controllori dell'Atm, l'artista senegalese Ba ha avuto la stessa sorte con dei ragazzi italiani senza dimenticare il ragazzo italo burkinabè, Abdul William Guibre, ucciso per due biscotti.
L'odio c'è.
Milano con la sua precedente amministrazione non ha favorito l'integrazione.
Oggi i cittadini stranieri soffrono molto.
Ricordo che in un paese civile anche i cani hanno una loro dignità.

Hai la sensazione che in Italia si stiano creando condizioni pericolose per l’integrazione e l’inclusione delle persone migranti dal Senegal e dagli altri paesi africani?
Non faccio un discorso citando i paesi. Una cosa è certa: l'africano in generale paga tanto per il colore della pelle.
A volte chiamato negro, negrone o ragazzo di colore. A volte sottovalutato perché giudicato per la sua provenienza. L'africano paga molto di più. Quello che vediamo o sentiamo rappresenta una percentuale bassissima.
Tanti africani soffrono nelle aziende, discriminati per il colore della pelle e / o della provenienza.
Lo straniero è sempre considerato come un oggetto e non come soggetto, sostanza e regista della sua esistenza.
Pensi che si possa parlare di razzismo crescente, oppure episodi come quello di Firenze vanno ricondotti soltanto a episodi di follia e di squilibrio?
Molto crescente. I fatti lo dicono: Rosarno che ci ricordava le piantagioni di cotone in America durante la schiavitù, il campo Rom bruciato a Torino, la morte di Abba, i processi nei tribunali crescenti sulla discriminazione rappresentano un aggregato molto importante da non sottovalutare.
Il razzismo c'è e cresce.
Lo dobbiamo fermare.

Quali interventi sarebbero necessari per invertire la tendenza, e per ridare all’Italia il ruolo di porta europea del Mediterraneo, crocevia di culture millenarie?
Purtroppo conviviamo ogni giorno con atti di discriminazione ma non ci fermiamo davanti. Le istituzioni hanno un ruolo molto importante e la politica deve giocare nei piani più alti e non pensare solo a ricavare voti per andare a Roma.
Lo Stato deve intervenire , agire sopratutto nelle scuole, all'università favorendo molto la mediazione culturale. Gli stranieri devono avvinarsi di più alla realtà culturale del paese.
E' solo così che si possa sognare un paese dei diritti e dei doveri.
Come sta vivendo la comunità senegalese questo momento drammatico?
Non trovo adeguate parole per definire lo stato d'animo. Sicuramente il momento risulta teso.
Da poeta e scrittore, quale riflessione proponi, per leggere i tempi?
Credo molto ai valori dell'essere umano e alla civiltà dell'Universalità. Tutti sono uguali indipendentemente della provenienza, dal colore della pelle e dalla religione. Esiste una sola razza, è quella umana. Dobbiamo coltivare l'amore nell'orto comune a tutti e annaffiare i semi della Tolleranza..

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martedì 26 luglio 2011

Terre fertili agli stranieri .....(tra cui l’Italia)




Monica Riot Capo .. tramite Punto e a Capo di Monica Capo
Un’indagine condotta da Survival International ha portato alla luce prove allarmanti del fatto che alcune tra le terre agricole più produttive dell’Etiopia sono state sottratte alle tribù locali per essere affittate ad aziende straniere. Le società che si sono accaparrate la terra, l’utilizzeranno sia per la produzione di biocarburanti sia per coltivare ed esportare prodotti alimentari.

Etiopia: terre fertili agli stranieri (tra cui l’Italia) mentre in migliaia muoiono di fame .

www.survival.it


Ad essersi accaparrate appezzamenti di terra fertile della valle dell'Omo sono compagnie malesi, coreane e anche italiane.

Etiopia: terre fertili agli stranieri (tra cui l’Italia) mentre in migliaia muoiono di fame 25 luglioNotizie & Media -Ufficio stampa Cartelle stampa Notizie per paese
Notizie per popolo Newsletter elettronica Comunicati via e-mail Nella valle dell'Omo vivono otto diverse tribù. Joey L / joeyl.com

Un’indagine condotta da Survival International ha portato alla luce prove allarmanti del fatto che alcune tra le terre agricole più produttive dell’Etiopia sono state sottratte alle tribù locali per essere affittate ad aziende straniere.

Le società che si sono accaparrate la terra, l’utilizzeranno sia per la produzione di biocarburanti sia per coltivare ed esportare prodotti alimentari mentre, contemporaneamente, migliaia di Etiopi stanno morendo di fame a causa della terribile siccità in corso.



Ad essersi accaparrate ampi tratti di terra fertile situata nell’area del fiume Omo, nel sud-ovest dell’Etiopia, sono imprese malesi, coreane e anche italiane, tra cui la Fri-El Green Power.
Nonostante i 90.000 indigeni che vi abitano dipendano dalla terra per la loro sopravvivenza, i terreni saranno sgombrati per fare spazio alle coltivazioni estensive destinate all’esportazione.

Il governo sta pianificando di aumentare la quantità di terra da destinare al progetto ad almeno 245.000 ettari, di cui almeno 150.000 saranno riservati alle piantagioni di canna da zucchero.
Il ritorno delle grandi dighe devasterà le vite dei popoli indigeni.

© E. Lafforgue/Survival

La regione è attualmente afflitta dalla peggiore siccità degli ultimi 60 anni, che sta lasciando milioni di persone senza cibo. Le tribù della Valle dell’Omo, per il momento, sono relativamente al riparo da questo flagello.
Ma il governo li considera “arretrati” ed è determinato a “modernizzarli”: li vuole trasformare da contadini, pastori e cacciatori autosufficienti quali sono oggi, a manovali da impiegare nelle coltivazioni estensive.
In alternativa, potrebbero essere anche semplicemente sfrattati dalle loro terre.

Il progetto agro-industriale varato dal governo nella regione include anche la costruzione di una serie di dighe sul fiume Omo, tra cui la controversa Gibe III ad opera dall’italiana Salini Costruttori, destinata a diventare una delle più grandi dell’Africa.
Alla realizzazione della diga seguirà la costruzione di centinaia di chilometri di canali di irrigazione, che devieranno il corso di acque indispensabili agli indigeni.
Queste operazioni priveranno le tribù delle esondazioni stagionali del fiume, che alimentano e rendono possibile le loro coltivazioni.

La popolazione locale ha subito intimidazioni volte a impedire il passaggio di informazioni agli esterni o ai giornalisti, e non è mai stata adeguatamente consultata.
Una persona che ha recentemente visitato la zona, ha raccontato a Survival che governo e polizia stanno usando la mano pesante con gli indigeni, arrestandoli, torturandoli e violentando le donne, in modo che non oppongano resistenza all’invasione della terra. Un indigeno ha detto a questo visitatore: “Le persone vivono nella paura, temono il governo.
Per favore aiutate i pastori dell’Etiopia meridionale: su di loro incombe una grave minaccia”.

“I popoli che vivono nella Valle dell’Omo non sono né ‘arretrati’ né hanno bisogno di essere ‘modernizzati’ ha dichiarato Stephen Corry, direttore generale di Survival International. Essi appartengono al XXI secolo esattamente come le multinazionali che stanno cercando di accaparrarsi le loro terre.
Costringendoli a diventare manovali, con ogni probabilità la qualità della loro vita peggiorerà drasticamente e saranno condannati alla fame e all’indigenza, esattamente come accade a molti dei loro connazionali.”

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martedì 12 luglio 2011

“Ogni uomo deve decidere se camminerà nella luce dell'altruismo creativo o nel buio dell'egoismo distruttivo.
Questa è la decisione.
La più insistente ed urgente domanda della vita è:
"Che cosa fate voi per gli altri?...
Ignorare il male equivale ad esserne complici.
Martin Luther king



Clandestini, di Pietro Barbera
Approdano, talvolta.
Nel cuore i compagni perduti gli affetti spezzati, nella mente l'ignoto, negli occhi una strascicata speranza. Nude mani come artigli sulla vita, sottratta alla furia delle onde alla barbarie alla... fame, scavano fosse di libertà.
Clandestini sull'arida terra occultati sotto pietre di silenzio annegati negli abissi dell'indifferenza.
Spargono tracce di sangue lungo il cammino inghiottite dalle acque, sorbite dalle zolle, volatilizzate verso il rosso sole. Fantasmi..... Impalpabili...... Clandestini.....Come la nostra solidarietà. Alziamo solo barricate contro l'uomo.
Il tempo ha sempre sbriciolato muraglie e civiltà, depennato confini, stendendo spesse coltri di pietà sopra ogni odio.
Di: Vito Raia


lunedì 20 giugno 2011

AFRICA

Il mio nome è Africa....
quella che un tempo fece impazzire
di gelosia il Paradiso Terrestre
e oggi mi divorano
i quattro cavalieri neri
la Fame, la Guerra,
la Peste e le Bestie
che vomitano fuoco.

Il mio nome è Africa....
Africa di carne viva
Africa velo strappato
Africa pervertita
Africa orologio fermo
il mio nome è Africa.

Il mio nome è Africa....
Mi guardi e non mi vedi,
o forse non vuoi vedermi;
o forse dove sei non arrivano le suppliche
dei miei poveri figli
che, come i tuoi,
sono nati da donne.

Il mio nome è Africa...
Africa mani vuote
Africa occhi grandi
Africa pancia gonfia
Africa gambe scheletriche
il mio nome è Africa....

Il mio nome è Africa....
Il mio nome è Africa....
vago in un mondo che
non mi lascia e non mi prende;
scarico sulle banchine sud del Tamigi,
vendemmio sul Duero,
spazzo le strade di Parigi,
costruisco Roma.

Il mio nome è Africa...
Africa pena che canta
Africa prigioniera
Africa che si dissangua
e vaga su una zattera.

Il mio nome è Africa....
Africa bambola rotta
Africa clandestina
Africa a cui germogliano
fiori dalle spine.

Il mio nome è Africa....
Africa... Africa.... Africa...

Joan Manuel Serrat

venerdì 3 giugno 2011

L’ITALIA CHIEDA ALL’ONU UN INTERVENTO ECONOMICO E SOCIALE IN NORD AFRICA





3 giugno 2011
La crisi del Nord Africa non può lasciarci indifferenti. L’Europa si è mossa con enorme ritardo dal punto di vista politico ed è ancora addirittura ferma nella ricerca di una soluzione alle enormi emergenze che la crisi in quei paesi stanno causando. Non solo. La risposta di alcuni stati europei è stata totalmente inadeguata perché si è concretizzata solo con atti di guerra nei confronti del regime di Gheddafi con danni alla popolazione civile. Possiamo dirlo: l’Europa ha perso quel ruolo di primo piano diplomatico che ha sempre avuto nella sua storia. Ma se tutti questi errori non bastassero se n’è aggiunto un altro, ancora più grave, quello dell’incapacità di intraprendere una vera politica dell’accoglienza senza la quale, a mio parere, l’Europa e l’Italia si pongono al di fuori della storia. Non si può far finta di ignorare quello che sta accadendo, perché le guerre civili, che si sono scatenate negli ultimi mesi e che si stanno estendendo a macchia d’olio, ultimi in ordine Yemen e Siria, stanno provocando ondate sempre più massicce di fuga da quei paesi. Migliaia di persone scappano per cercare nuove opportunità, oppure più semplicemente perché non vogliono vivere rischiando ogni giorno di perdere la vita. Tra di loro ci sono bambini, giovani madri, donne incinte e già molti sono gli incidenti delle carrette del mare, vecchie imbarcazioni spesso incapaci di sostenere il peso di tante persone.

Ieri l’ultima tragedia, denunciata dall’Onu, secondo cui circa 150 persone sono annegate in mare al largo delle coste tunisine per il naufragio di un’imbarcazione in avaria che cercava di raggiungere Lampedusa. Tutto il mondo deve provare tristezza e rabbia di fronte a questa che non è la prima tragedia né quella di maggiore dimensione. Non si può più rimanere a guardare mentre centinaia di persone scappano da sofferenza, fame e poverta’ e, anziche’ trovare una nuova vita, muoiono. L’Italia si faccia promotrice di una grande azione internazionale congiunta, che coinvolga le Nazioni Unite, per ridare al nostro Paese prestigio e dignita’. Finora siamo stati il paese delle politiche razziali e dei respingimenti suggeriti della Lega, di un presidente del Consiglio che baciava la mano ai dittatori e di un ministro degli Esteri fantasma. E’ ora di invertire la rotta. Sono necessari e urgenti interventi di politica economica e sociale a livello locale e strumenti di accoglienza a livello internazionale. Gli sforzi persi in inutili guerre possono essere destinati a questo scopo. Siamo ancora in tempo. L’Europa e l’Italia più volte nella propria storia, anche recente, hanno dimostrato di saper essere solidali e accoglienti.